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Testo d’approfondimento
Una parte degli arrestati viene uccisa subito e i corpi sono gettati nelle foibe. La maggioranza viene inviata nei campi di prigionia allestiti in varie parti della Jugoslavia. In genere i detenuti ed anche gli infoibati non subiscono alcun processo. Nei campi vengono inviati anche i soldati della RSI caduti prigionieri alla fine della guerra.
Qui durante l’estate la mortalità è altissima, per la fame, le violenze e le malattie. Particolarmente famigerati sono il campo di Borovnica e l’ospedale di Škofja Loka. Dopo alcuni mesi cominciano i rilasci, che si protraggono fino ai primi anni Cinquanta. È impossibile calcolare il numero preciso di quanti non hanno fatto ritorno e sono scomparsi senza lasciare alcuna traccia. L’ordine di grandezza è comunque di alcune migliaia.
Le stragi avvenute nella Venezia Giulia e correntemente chiamate
«le foibe» non sono un fenomeno isolato. Contemporaneamente, in tutti gli adiacenti territori jugoslavi appena liberati dai tedeschi i partigiani e gli organi del nuovo regime jugoslavo fanno strage dei collaborazionisti con i tedeschi e degli oppositori. In pochi giorni vengono uccisi almeno diecimila domobranci (domobranzi) sloveni e sessantamila ustaša (ustascia) croati. Si tratta della medesima ondata di violenza politica che investe anche la Venezia Giulia, in quel momento occupata e considerata parte integrante della Jugoslavia. Naturalmente, nelle terre adriatiche la particolarità è data dalla questione nazionale:
la repressione perciò, oltre che a punire responsabili di azioni contrarie al movimento di liberazione e più in generale agli sloveni ed ai croati, mira a distruggere ogni legame fra popolazione, territorio e Stato italiano, nonché ad intimidire quanti desiderano il mantenimento della sovranità italiana.
Ben presto a Trieste si sparge la voce che una strage di grandi dimensioni è avvenuta nella località di Basovizza, sul Carso triestino alle spalle della città. Un’inchiesta condotta nell’estate del 1945 dalle autorità angloamericane indica come probabile l’uccisione,
nei primi giorni di maggio, di alcune centinaia di persone in massima parte dipendenti dalla questura di Trieste, le cui salme sarebbero state precipitate nel vicino «pozzo della miniera». I tentativi di recupero dei corpi però falliscono, perché nel pozzo è stata gettata anche una gran quantità di altri materiali, comprese munizioni inesplose.
A prescindere dal numero di infoibati, negli anni successivi il sito diventerà il simbolo di tutte le stragi correntemente chiamate «foibe» e nel 1992 verrà proclamato monumento nazionale.