25-012 Gigi Vidris
Gigi Vidris, “Non è Tito che vuole l’Istria ...”

24. Gli italiani in Istria

In Istria le autorità jugoslave applicano inizialmente la politica della “fratellanza italo-slava”. Si ritiene cioè che all’interno della popolazione italiana esista una minoranza, principalmente la classe operaia, disposta ad aderire al regime comunista ed alla quale perciò possono venir concessi alcuni diritti nazionali. Per gli altri, considerati “residui del fascismo” e “imperialisti”, poiché desiderano il mantenimento della sovranità italiana, non c’è posto. Epurazione politica, distruzione della “borghesia”, gestione statale della terra, ribaltamento delle gerarchie nazionali, persecuzione religiosa, denigrazione dell’Italia, marginalizzazione culturale, erosione delle tradizioni, instaurazione di un regime poliziesco: sono questi i principali elementi che determinano per gli italiani una situazione di invivibilità. Infine, anche i comunisti di lingua italiana si allontanano dal regime, accusato di nazionalismo. Nel 1948, al momento della crisi del Cominform, si schierano per Stalin contro Tito e diventano anch’essi “nemici del popolo”.

Testo d’approfondimento

In Istria le autorità jugoslave applicano inizialmente la politica della «fratellanza italo-slava».
Si ritiene cioè che all’interno della popolazione italiana esista una minoranza, composta principalmente dalla classe operaia, disposta ad aderire al regime comunista ed alla quale perciò possono venir concessi alcuni diritti nazionali, quali scuole, stampa e iniziative culturali in lingua italiana. Peraltro, dal momento che il sistema politico non è liberale, titolare dei diritti è il gruppo nazionale italiano strutturato nelle organizzazioni del regime, ma non i suoi singoli membri.

Gli italiani invece – e si tratta della maggioranza – che desiderano il mantenimento della sovranità dell’Italia vengono considerati «residui del fascismo» e «imperialisti» e per loro non c’è posto nell’Istria divenuta jugoslava e comunista. Nei loro confronti la politica del regime è assai dura. Epurazione politica (che porta all’eliminazione della classe dirigente italiana), distruzione della «borghesia» (che comprende anche i ceti popolari non proletari, come i pescatori e i marittimi), gestione statale della terra (che colpisce i piccoli coltivatori), ribaltamento delle gerarchie nazionali (che porta gli italiani dall’egemonia alla perdita di qualsiasi potere), persecuzione religiosa, denigrazione dell’Italia, marginalizzazione culturale, erosione delle tradizioni, instaurazione di un regime poliziesco: sono questi i principali elementi che determinano per gli italiani una situazione di invivibilità. Molti quindi sono costretti a fuggire per scampare la vita, mentre fra gli altri si diffonde l’idea di non poter sopportare la nuova dominazione.

Infine, anche i comunisti di lingua italiana si allontanano dal regime, in cui il nazionalismo sloveno e croato sembra prevalere sull’internazionalismo proletario.
La pietra tombale sulla politica della «fratellanza» viene posta nel 1948. In quell’anno scoppia la crisi fra i comunisti jugoslavi e quelli sovietici che culmina con l’espulsione della Jugoslavia dal Cominform, l’organo di coordinamento del comunismo internazionale diretto da Mosca.
I comunisti italiani si schierano per Stalin contro Tito e perciò cessano di venir considerati dal regime «italiani onesti e buoni» per diventare anch’essi «nemici del popolo». I loro leader vengono perseguitati, anche con la deportazione nel terribile campo di rieducazione per cominformisti di Goli Otok (Isola Calva), in Dalmazia.

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  • Testimonianze sulla condizione degli italiani in Istria 

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