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Marlborough s’en va t’en guerre
Testo d’approfondimento
Fino al Trattato di Campoformido del 1797 le terre dell’Adriatico Orientale si trovavano divise fra due Stati: la maggior parte della penisola istriana, compresi tutti i centri costieri, e la Dalmazia appartengono a Venezia, mentre Trieste e l’Istria interna, (contea di Pisino), fanno parte dell’Impero d’Austria.
Fiume appartiene alla corona ungherese come corpus separatum. Dopo la caduta della Repubblica di Venezia i confini si spostano più volte in pochi anni fino a quando, cessati gli sconquassi dell’epoca napoleonica, tutta la regione passa sotto il dominio asburgico.
Il centro principale dell’area giuliano-dalmata è Trieste, porto dell’Austria, cresciuta per via di immigrazione grazie ai privilegi concessi agli inizi del Settecento dal governo di Vienna.
Trieste è diventata il principale porto dell’Impero, vale a dire la finestra dell’Europa centrale sul Mediterraneo. Nel corso dell’Ottocento, con l’avvento della ferrovia, le politiche tariffarie adottate dal governo asburgico convoglieranno verso l’emporio giuliano tutti i traffici dell’entroterra. Simile, anche se su scala minore, è la situazione di Fiume, porto dell’Ungheria. Nella seconda metà del secolo poi, il governo asburgico trasformerà Pola in una grande base navale.
Le principali lingue parlate nella regione sono l’italiano (nella sua variante veneta, che ha progressivamente sostituito i dialetti locali di ceppo ladino), il croato (o meglio, diversi dialetti, anche d’origine serba, normalizzati letterariamente solo nella seconda metà dell’800) e lo sloveno.
L’uso dell’italiano veneto come lingua degli affari ha consentito la rapida integrazione di genti provenienti da varie parti d‘Europa e del bacino del Mediterraneo. In questo modo Trieste è diventata una grande città italiana, che durante l’Ottocento assume nell’Adriatico l’eredità economica e culturale di Venezia, divenendo il centro di un’ampia provincia adriatica unificata dai traffici e dalla lingua. Contemporaneamente, la politica di tolleranza religiosa praticata a Trieste dalle autorità asburgiche favorisce l’insediamento di fiorenti comunità non cattoliche, che svolgono un ruolo determinante nello sviluppo della città.
Le principali sono quelle ebraica, serbo-ortodossa e greco-ortodossa.
Agli inizi del Novecento, dopo l’occupazione austriaca della Bosnia, si formerà in città anche un piccolo nucleo musulmano.